Sicurezza sul lavoro: CGIL, contrarietà nettissima a decreto correttivo del Testo Unico

Con provvedimento Governo costruisce una normativa tesa a salvaguardare, a proteggere e a rinforzare gli interessi e la centralità dell'impresa a scapito del lavoro
07/05/2009

“Qualcuno ha parlato di lavoro di cesello” sullo schema di decreto legislativo che modifica il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo 9 aprile 2008 n.81), “io dico che è molto peggio. Qui si fa un’altra operazione: si tolgono i pioli e si fa cadere l’intera impalcatura”. È questa l’idea della segretaria confederale della CGIL, responsabile dei temi salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Paola Agnello Modica, nel ribadire la “nettissima contrarietà” della confederazione sul testo del governo che, ha detto, “non è ideologica ma fondata su profonde ragioni di merito”.

Quel testo, ha ribadito la dirigente sindacale nel corso di una conferenza stampa convocata per presentare le osservazioni della CGIL, e della Consulta Giuridica del lavoro, sul decreto correttivo, “è una vera e propria controriforma” che mina “norme fondamentali del codice civile, di quello penale e dello Statuto dei lavoratori attraverso l’uso improprio di un decreto legislativo”. Ma non solo, ha rincarato, “la nostra contrarietà è assoluta nei confronti delle modifiche che si operano, in maniera diretta o indiretta, al codice penale, al codice civile e allo Statuto”.

Un giudizio, quello della segretaria confederale, supportato dallo studio presentato dalla Consulta giuridica del lavoro dell’organizzazione sindacale che analizza, punto per punto, il decreto approvato in Consiglio dei Ministri il 27 marzo scorso per concluderne che si tratta di una “controriforma”. Il professore Carlo Smuraglia ha spiegato che la valutazione non nasce da un “pregiudizio: non si è dato il tempo al Testo Unico per verificarne l'efficacia ma, da subito, con il cambio di governo è spirato un vento di controriforma”.

Mentre secondo la CGIL, così come emerge dalle osservazioni contenute in un documento, il decreto correttivo di fatto de-responsabilizza il datore di lavoro e il dirigente e riduce la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. “Il Governo - si legge - costruisce una normativa tesa a salvaguardare, a proteggere e a rinforzare gli interessi e la centralità dell'impresa a scapito del lavoro”. Il sindacato sottolinea come siano a rischio sia i diritti individuali sia quelli collettivi dei lavoratori. In particolare la CGIL non condivide l’abrogazione del divieto di visita preassuntiva da parte del medico di fiducia dell'azienda e le nuove norme sulla cartella sanitaria ma soprattutto “il ridimensionamento del ruolo della rappresentanza e della contrattazione di secondo livello, dei diritti e delle prerogative di tutte le rappresentanze dei lavoratori”.
La segretaria confederale Paola Agnello Modica ha puntato poi il dito contro l’esecutivo che “approfitta della crisi per abbassare i diritti”. Il governo, ha aggiunto, “sta di fatto approfittando della crisi per dare un impostazione dall’uscita che è al ribasso per i diritti. Scatenando una competizione basata sulla riduzione dei costi, dei doveri e delle responsabilità dei datori di lavoro rispetto all’intera società” mentre “le differenze sociali si stanno acuendo”. Quanto al Libro Bianco sul welfare, presentato ieri dal ministro Sacconi, Agnello Modica ha osservato: “Non so se Sacconi dice che non tocca l'art. 18 ora, intendendo che non lo fa prima delle elezioni, ma gia' con il decreto sulla sicurezza attacca lo Statuto e in particolare l'articolo 5 che prende il divieto della visita sanitaria pre assunzione, il 9 sul ruolo dei rappresentanti dei lavoratori e il 13 che sancisce il diritto di vedere garantita la retribuzione in caso di cambio di mansione per malattia a seguito di infortunio”.

Commenti

INFOTEL ha detto…
Gli errori commessi dagli operai non cancellano la colpa dell'azienda per gli infortuni sul lavoro. Con una importante sentenza che richiama le imprese alle proprie responsabilita' sul fronte della sicurezza e del rispetto delle norme anti infortuni, la Cassazione fornisce un'interpretazione che estende gli obblighi del datore di lavoro anche nei confronti dei lavoratori autonomi.

L'occasione per intervenire sul tema e' offerta alla Suprema Corte dal processo per la morte di un operaio, precipitato nel gennaio 2001 da un lucernario dello stabilimento di un'azienda di Retorbido, nell'Oltrepo' pavese. Il giovane lavoratore cadde mentre si trovava sul tetto per ripulire le grondaie, ma il contratto di lavoro autonomo che lo legava all'impresa Valdata si riferiva soltanto alla manutenzione degli impianti
meccanici. Per questo motivo sia il direttore dello stabilimento, sia il legale rappresentante della societa' hanno presentato ricorso in Cassazione contro le sentenze, prima del tribunale di Voghera e poi della Corte d'appello di Milano, che avevano condannato il dirigente per omicidio colposo e l'azienda al risarcimento del danno in favore dei genitori della vittima.

In particolare, la difesa sosteneva che i giudici di merito avrebbero sbagliato a considerare l'azienda responsabile delle misure di sicurezza che, invece, nel caso del lavoratore autonomo avrebbero dovuto essere adottate dallo stesso operaio. Inoltre, il lavoro di pulizia sul tetto, che ha causato l'incidente, non rientrava nelle mansioni del lavoratore, il cui contratto si riferiva soltanto alle riparazioni meccaniche. "Obiezioni" che i giudici della quarta sezione penale, con la sentenza 18998, hanno bocciato senza mezzi termini. Sottolineando anzitutto che, come emerso dalle testimonianze, l'operaio era solito trattenersi oltre l'orario stabilito per "arrotondare" i propri guadagni con "qualche lavoretto extra".

Inoltre, sottolinea la Corte, e' stato accertato che "i responsabili delle sicurezza dello stabilimento non avevano predisposto sottopalchi di protezione o elementi di rinforzo dei lucernari al fine di evitare cadute dall'alto". Ed e' proprio a questo proposito che la Cassazione ribadisce la responsabilita' che grava sul datore di lavoro indipendentemente dal comportamento del lavoratore e dalla sua qualifica di impiegato a tempo pieno o autonomo. "Chi e' responsabile della sicurezza del lavoro -
proseguono i giudici - deve avere la sensibilita' di rendersi interprete del comportamento altrui". In sostanza la Corte ribadisce che "la normativa anti infortunistica mira a salvaguardare l'incolumita' del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalita', ma anche da quelli che possono scaturire dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni raccomandate".