LA FORMAZIONE


L’Appropriatezza nella Formazione: sviluppare “competenze non neutre”
L’approcio alla formazione e, quindi, allo sviluppo delle competenze in materia di salute e sicurezza in ottica di genere promuove l’adeguatezza del sistema di prevenzione,valutazione e rimozione dei rischi.
Un sistema basato sull’appropriatezza, infatti avrà preso in considerazione le variabili di genere e le peculiarità individuali dei gruppi omogenei di lavoratori e lavoratrici,e quindi, i contenuti della formazione saranno modulati di conseguenza.
Allo stesso modo il tema dell’appropriatezza riguarda l’erogazione della formazione tenendo conto delle variabili di genere nella progettazione dei contenuti, nelle modalità didattiche, nel linguaggio, negli stili di comunicazione “sensibili al genere”.
Ciò è possibile attingendo alla vasta letteratura disponibile in materia.
Da non trascurare la scelta dei docenti e degli esperti il cui bagaglio di competenze ed esperienze non è mai neutro.
Tale approccio può determinare effetti positivi in termini di salute organizzativa: riduzione degli stereotipi di genere, rafforzamento delle capacità di coping, di empowerment,di auto-riflessività sul proprio lavoro, capacità di riconoscere le discriminazioni sul lavoro (verso sé ed altri/e) e le molestie sessuali, innalzando quindi il potenziale di salute della comunità lavorativa nel complesso.
Un tale auspicabile risultato della formazione sostiene il raggiungimento di un altro obiettivo legato all’equità di genere nella formazione, ovvero la capacità dell’azienda ente o del soggetto erogatore di garantire condizioni di accesso e partecipazione alla formazione che tengano conto dei relativi ruoli sociali di donne e uomini:
• nell’analisi dei fabbisogni
• nella progettazione e nella didattica
• nei tempi e nelle modalità di organizzazione ed erogazione
• nel monitoraggio e nella valutazione
L’approccio partecipativo e riflessivo caratterizza le fasi salienti di analisi delle competenze utili ai diversi attori del sistema salute e sicurezza, a partire da lavoratori e lavoratrici, in considerazione del fatto che la persona competente cerca di comprendere la situazione lavorativa adeguando i propri schemi cognitivi attuali alle esigenze del compito, riflettendo sulla propria attività, cercando di mettersi nella condizione migliore per accedere a conoscenze generali e attuare risposte efficaci rispetto alla situazione problematica.
Essere competenti significa sempre più, in contesti di lavoro in evoluzione, essere capaci di gestire situazioni complesse e instabili. Di solito vengono individuate e ricercate le risorse che il lavoratore o la lavoratrice deve possedere, ma la persona è competente solo se sa mobilitare queste risorse nel modo appropriato nella situazione di lavoro.
Lo sviluppo delle competenze in una organizzazione in salute, quindi, presuppone due condizioni fortemente intrecciate: scelte organizzative tendenti a promuovere la riflessione sull’azione da parte dei singoli e una cultura di impresa come organizzazione che apprende.
Una organizzazione fatta di donne e uomini.
Per una migliore definizione di una formazione continua in materia di salute e Sicurezza, è utile sottolineare il concetto di “health literacy” o “competenze chiave per la salute” o “alfabetizzazione alla salute”, concetto che richiama la capacità individuale di essere attivi nella gestione della salute personale e nell’orientarsi in un sistema di salute sempre più complesso.
Le competenze per la salute accrescono la capacità dell’individuo di operare delle scelte che influiscono favorevolmente sulla propria salute nella vita quotidiana:
a casa, sul posto di lavoro e nella società in generale. Aumentano, inoltre, la capacità di trovare informazioni, di comprenderle e di tradurle in azioni. Favorire lo sviluppo dell’health literacy significa anche ridurre le disuguaglianze di salute:
è opportuno che l’elaborazione dei messaggi di prevenzione della salute tenga conto delle differenze individuali e delle comunità lavorative nell’approccio alla salute, considerando in modo particolare il ruolo della famiglia, il contesto socio-culturale, il genere di appartenenza e il livello di istruzione.
Il campo di ricerca della health literacy in ambito lavorativo è solo agli inizi e non è stato compiutamente formalizzato ed ancor meno dotato di prassi e linee operative nelle azioni di prevenzione e rimozione dei rischi per la salute. Il concetto di competenza è sfuggente, di difficile definizione e l’azione, nella quale essa si investe, ha un senso specifico per il soggetto che la mette in opera.
La competenza nel prendersi cura di sé è guidata da un’intenzionalità ed il saper agire non equivale ad un semplice saper fare.
Di fronte ai rischi e agli avvenimenti, di fronte alla complessità delle situazioni, alla persona competente è richiesto non solamente di saper eseguire, ciò che è richiesto ma di andare al di là, di saper innovare se necessario. La persona competente, in situazioni inconsuete, sa “che cosa fare”, ossia è in grado di mettere in opera delle condotte ed azioni pertinenti.
È evidente quanto ciò sia cruciale in caso di pericolo inatteso o imprevisto.
L’azienda, selezionando il proprio personale, può solo individuare persone che abbiano risorse disponibili e capacità di attivazione e combinazione appropriate.
Il lavoro competente si costruisce insieme, con un’intelligente azione organizzativa.
L’approccio di intervento efficace, quindi, è quello che permette a donne e uomini,con le specificità del caso, di rilevare le percezioni del proprio stato di salute e, contemporaneamente,promuove l’empowerment e cioè, in primo luogo, lo sviluppo di competenze di consapevolezza del sé e di padronanza di sé, motivazione, empatia,resilienza, coping, abilità sociali.
Un professionista è abitualmente considerato un esperto che risolve problemi applicando nella pratica teorie e tecniche prodotte in campo scientifico.
Se il professionista, seguendo il modello della razionalità tecnica, di fronte a una situazione concreta attinge al magazzino di problemi e soluzioni che la scienza ha predisposto,sa che può operare con rigore; ma lo schema scelto può non essere pertinente, ovvero non riflettere in modo adeguato la situazione affrontata per quanto riguarda in particolare la valutazione dei rischi per donne e uomini, se non si conoscono le evidenze scientifiche riferibili alle variabili uomo donna nel lavoro e nella salute.
Se invece non segue la razionalità tecnica, il professionista si confronta con la situazione utilizzando il repertorio di esempi, immagini, descrizioni e azioni che racchiude il complesso della sua esperienza e di cui dispone per comprendere e formulare nuove ipotesi.
È un dato di fatto che tutta la cultura incentrata sulla salute e sicurezza sul lavoro si sia sin qui sviluppata intorno ad un approccio “neutro” ed è quindi verosimile che non ci siano esempi o modelli da seguire o non almeno in tutti gli ambiti professionali.
La strategia del professionista consiste, allora, nel saper vedere la situazione come qualcosa che è già presente nel suo repertorio, senza che questo significhi includerla in una categoria o in una regola consuete. Vedendo questa situazione come una già nota, può agire in una situazione nuova in modo pertinente.
La situazione consueta funge da precedente, o da caso esemplare, il vedere come, assume una forma definita “metafora generativa”, che consente di relazionare l’esperienza passata al caso unico.
È la capacità di “vedere come” e “agire come” che permette di “sentire” i problemi che non si adattano a regole predefinite.
Ciò sta a significare che il professionista ha bisogno di immaginare un modo nuovo, di percepire le peculiarità e le differenze. Solo allora potrà attivare le proprie risorse per rispondere a domande che non si era mai posto o che non gli erano mai state
formulate.
La produzione di conoscenza, per ognuno/a sarà peculiare e soggettiva, dal momento che il corpo è il “luogo” in cui i concetti di salute e malattia, ma anche quelli di differenza (di sesso, genere, età, cultura…) prendono forma, diventano esperienze concrete.
Il “genere” stesso è, infatti, un concetto “incarnato” in quanto non può prescindere dai corpi di chi osserva e di chi è oggetto dell’osservazione; entrando
in un luogo di lavoro noi osserviamo ed agiamo a partire dal nostro essere donna o uomo: non è dato essere “neutri”.
Avremo una nostra peculiare visione del mondo, del rapporto tra i sessi, avremo degli stereotipi e dei punti di vista sull’equità. Saremo o non saremo in grado di individuare e percepire le disuguaglianze e le discriminazioni.
Per trasformare tutto questo in competenze situate e in azioni pertinenti anche al di fuori dalla razionalità tecnica, è necessario, quindi, voler e poter traslare ambiti del sapere e del saper fare dal noto (neutro) al meno noto (approccio di genere).
Un discorso più ampio ed articolato potrà essere affrontato successivamente in riferimento ai fabbisogni di formazione dei medici del lavoro, sia quelli operanti nei servizi territoriali ed ispettivi che quelli con ruolo di medico competente.
In questa riflessione riferita alle prospettive della formazione, prendiamo in considerazione prevalentemente la figura del medico competente che, nel caso di problemi di salute correlati al lavoro, è il primo interlocutore in azienda, benché talvolta la persona si rivolga al proprio medico di medicina generale.
Il medico competente ha una serie di compiti/obblighi tra cui la sorveglianza sanitaria che costituisce una delle misure di prevenzione per i lavoratori esposti a rischi per la salute per cui sono previsti dei valori limite. “Il rispetto di tali valori limite non garantisce effettiva ed eguale tutela a tutti i lavoratori esposti stante la suscettibilità individuale di ognuno per effetto delle differenze di genere, di età, delle caratteristiche genetiche e della coesistenza di eventuali patologie extralavorative.
La sorveglianza sanitaria serve a far sì che si adottino misure di prevenzione adeguate al singolo lavoratore e nel contempo, a livello collettivo, consente di osservare gli effetti sulla salute di gruppi omogenei di lavoratori esposti ai medesimi rischi valutando altresì l’efficacia delle misure di prevenzione adottate.”
Il medico competente partecipa anche alla promozione di programmi volontari di promozione della salute che rappresenta un modello di prevenzione ancora estraneo alla cultura della salute sul lavoro in Italia, mentre è già affermato in altri Paesi europei che stimano anche i vantaggi economici di tale approccio.
Svolgere un compito così complesso presuppone un’adozione dell’ottica di genere e competenze specialistiche secondo l’approccio della medicina di genere.
Tale sensibilità e competenza consente ai professionisti sanitari di affrontare il proprio lavoro con maggiore efficacia ed appropriatezza cosa che determina effetti positivi su uomini e donne e quindi diviene implicita la necessità di formare sulle questioni di genere i medici curanti e i medici del lavoro.
In medicina convenzionale, la malattia di un paziente di solito è ricondotta ad un insieme di segni e sintomi in un quadro biomedico. In questo quadro l’attenzione alle questioni di genere è marginale o nulla.
Inoltre, la formazione medica è di tipo neutro, in quanto poca o nessuna attenzione è concessa alle differenze di sesso e genere. Pertanto, non sorprende più di tanto che le differenze di genere rimangano sconosciute e non indirizzino la prestazione di cure sanitarie.
Per una prevenzione e cura adeguate, l’approccio dei professionisti della salute dovrebbe,invece, essere più in sintonia con la prospettiva di genere. Una tale capacità degli operatori sanitari, infatti, può determinare una sensibilità di genere nelle decisioni cliniche.
Questo richiede la consapevolezza che il genere:
1) ha un impatto sulla salute
2) influisce sulla richiesta di visite mediche
3) ha rilevanza nelle scelte e le opzioni adottate nell’intero processo di prevenzione,
valutazione e rimozione dei rischi
4) determina la necessità di una strumentazione tecnico professionale specifica adeguata
Ma di quale sintomo/malattia il professionista si fa carico?
• della malattia/sintomo/disturbo sotto il profilo strettamente biomedico, in quanto associazione di sintomi clinici: ad esempio “l’evidenza” che si ottiene attraverso le procedure diagnostiche richieste dal medico competente? (disease);
• della percezione soggettiva della malattia da parte della persona:nel lavoro posso sentirmi male perché, dal mio punto di vista, subisco pressioni o perché devo fare troppe cose contemporaneamente, perché non ho sviluppi di carriera adeguati alle mie potenzialità o perché il condizionatore manda aria troppo fredda o troppo calda? (Illness);
• del significato che assume la malattia/sintomo/disturbo nel contesto sociale in cui si trova l’individuo: il significato, ad esempio assunto dall’essere assente dal lavoro per influenza o per un dolore cronico piuttosto che da un cancro? (Sickness).
Come abbiamo avuto e avremo modo di vedere, in ognuna delle prospettive prese in considerazione le variabili di genere fanno la differenza.

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