Il monitoraggio ambientale e biologico

In termini generali, il monitoraggio biologico può essere definito come la misura e la valutazione degli agenti chimici presenti sul luogo di lavoro, dei loro metaboliti o dei loro effetti precoci non patologici, in un idoneo mezzo biologico della persona esposta. 
Il suo scopo è di valutare l’esposizione e il rischio per la salute mediante il confronto dei valori ottenuti con un riferimento adeguato.
Lo stesso agente chimico, i prodotti della sua trasformazione generati dall’organismo, i metaboliti, o il cambiamento biochimico risultante dall’effetto menzionato, tutti oggetto di misurazione, costituiscono i cosiddetti indicatori.
I mezzi biologici più comuni sono il sangue, le urine e l’aria espirata, tuttavia per ogni agente chimico vi sono uno o più mezzi biologici idonei per il controllo biologico, mentre altri sono da escludere.
La parte che viene effettivamente prelevata dai mezzi biologici di un individuo, per effettuare l’analisi, costituisce il campione.
Il risultato della misurazione consente di conoscere il grado di esposizione dell’individuo e di dedurre se il lavoratore si trova o no in una situazione di rischio per la sua salute, quando si dispone di un valore limite biologico stabilito per tale contaminante, con un criterio di applicazione adatto allo scopo.
Quanto al loro significato, i risultati del controllo biologico e le relative valutazioni non si differenziano essenzialmente
da quelli ottenuti mediante la tecnica del monitoraggio ambientale, poiché, come queste ultime,
forniscono informazioni riferite, come già si e detto, all’esposizione attuale del lavoratori e al rischio potenziale
per la loro salute in determinate condizioni, e non sul loro stato di salute al momento attuale o in futuro.
Il monitoraggio biologico è, quindi, un importante strumento per la sorveglianza sanitaria e la valutazione del
rischio, ed è obbligatorio, ai sensi del D.Lgs. 81/2008, per i lavoratori esposti agli agenti chimici pericolosi
per i quali è stato fissato un valore limite biologico. Dei risultati di tale monitoraggio viene informato il lavoratore
interessato.
Secondo il D.Lgs. 81/2008, allegato XXXIX, l’unico agente chimico che riporta un valore limite biologico
è il piombo e i suoi composti ionici. Sarebbe auspicabile che il monitoraggio biologico possa essere esteso
ad altri agenti chimici per i quali Enti Internazionali abbiano fissato dei valori limite biologici (es: BEI,
ACGIH).
Il monitoraggio biologico fornisce una misura dell’esposizione interna dell’individuo e presenta due approcci
ben distinti: quello collettivo (come complemento del controllo ambientale) e quello individuale (come strumento
della medicina del lavoro, integrato nella supervisione sanitaria) in quanto:
• valuta la somma delle dosi assorbite attraverso le varie vie (inalatoria, cutanea, gastrointestinale) e quindi
è in grado di fornire una stima più realistica dell’esposizione efficace;
• valuta anche l’esposizione extralavorativa agli agenti chimici;
• valuta l’efficacia delle misure di protezione individuale;
• non richiede interventi durante le fasi lavorative.
Tuttavia il monitoraggio biologico presenta una serie di inconvenienti che lo rendono, di fatto quasi inapplicabile.
Infatti:
• non sempre è stato individuato un metabolita ed una metodologia analitica riconosciuta per la valutazione dell’inquinante: per nessuno degli inquinanti con la notazione “pelle” riportati nell’Allegato XXXIX è previsto un monitoraggio biologico. Anche volendosi rifare all’ACGIH, questa ha finora individuato dei metaboliti,delle metodologie analitiche e dei valori limite di esposizione professionale solo per poche sostanze tossiche con la notazione “pelle”;
• il prelievo dei campioni può essere a volte invasivo e difficilmente accettato dai lavoratori;
• vi possono essere delle sostanziali differenze metaboliche da individuo ad individuo;
• il monitoraggio biologico risulta, nei casi reali, meno sensibile rispetto ai metodi diretti di un fattore tra 3 e 30.
Tra i metodi diretti quello prevalentemente utilizzato fa uso dei “sostituti cutanei”, cioè di superfici assorbenti poste, durante le fasi lavorative, a contatto diretto con la pelle e che vengono contaminate in sua vece. 
Benché anche per l’esecuzione di questo tipo di monitoraggi non esista un protocollo che goda di un riconoscimento generalizzato, l’OSHA ha stabilito criteri riguardanti, ad esempio, la suddivisione del corpo aree anatomiche, la superficie minima di area anatomica cui applicare i sostituti cutanei, la loro collocazione approssimativa,ecc.
Dopo l’esposizione per un periodo di tempo noto, i sostituti cutanei vengono rimossi, l’agente chimico viene estratto dal sostituto cutaneo con i solventi convenzionalmente utilizzati per quel dato inquinante, e la soluzione viene analizzata. 
Ma anche il metodo diretto ha una serie di limitazioni e l’interpretazione dei dati può presentare notevoli difficoltà.

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