LE PARI OPPORTUNITÀ NEL RAPPORTO DI LAVORO


Il mondo del lavoro ha conosciuto, negli ultimi tempi, una profonda trasformazione sotto innumerevoli profili, e a seguito di tale mutamento si configurano luoghi e dimensioni produttivi del tutto nuovi, e la c.d. “femminilizzazione” del lavoro in tutti i settori, ha determinato così la necessità di un cambiamento dei sistemi di protezione tutti per i lavoratori e per le donne in particolare.
Garantire un’adeguata tutela, non può certo prescindere da un’attenta analisi delle peculiarità femminili in relazione alla rilevante presenza delle donne nel mercato del lavoro.
Nela monografia normativa, vengono affrontate le attuali tematiche relative alla sicurezza e salute della donna lavoratrice, senza prescindere da una preliminare analisi del “diritto antidisciminatorio” uomo- donna.
D’altro canto la chiave dell’attuale dibattito sull’allargamento ed il potenziamento delle tutele sul lavoro è proprio “proteggere efficacemente senza discriminare”.
Vedremo nelle prossime pubblicazioni, come sia indispensabile predisporre ed attuare una tutela differenziata uomo- donna nei luoghi di lavoro per assicurare a ciascuno la massima tutela possibile e come ciò possa e debba farsi necessariamente nel completo rispetto del principio di uguaglianza e non discriminazione.
Questo, il punto di svolta delle attuali politiche nazionali e comunitarie di tutela della salute.
La contrapposizione o se vogliamo il rapporto tra tutela e non discriminazione rimane un problema di difficile soluzione a livello legislativo.
Una generale tutela antidiscriminatoria infatti rischia di abbassare il livello di protezione,così d’altra parte un livello di protezione più mirato, potrebbe comportare un contrasto con i principi dell’uguaglianza (almeno in senso formale).
Una potenziale soluzione al problema (nonché certamente un’attuale necessità), potrebbe essere l’attuazione di tutele più contestualizzate che abbiano come riferimento il ruolo attualmente svolto dalle donne nella loro attività e nel loro collocamento nella società.
In quest’ottica, è doveroso che gli “attori” della sicurezza diversifichino la programmazione e l’attuazione delle misure protettive negli ambienti di lavoro, al fine di assicurarne l’efficacia non per il lavoratore (nella sua accezione neutrale), ma specificatamente per gli uomini e per le donne.
Non è dunque possibile raggiungere un miglioramento effettivo della salute e della sicurezza delle lavoratrici, senza tener conto dei problemi di discriminazione sul lavoro e nella società, per contrastare i quali occorre favorire politiche di equità.
Si tratta, allora, di evidenziare, attraverso l’analisi delle fonti del diritto antidiscriminatorio,lo stretto legame esistente tra le questioni connesse all’uguaglianza e alle pari opportunità e quelle attinenti alla salute sul lavoro.
Esaminare dunque, quella che può definirsi la “risposta normativa” alla progressiva femminilizzazione del lavoro, che conseguentemente ha determinato la necessità di un mutamento dei sistemi di tutela per le donne. Sistemi che devono tenere conto delle peculiarità femminili in relazione anche ai rischi specifici che si registrano nelle attività svolte.
Esiste un legame molto stretto tra le questioni legate all’uguaglianza e alle pari opportunità e quelle attinenti alla salute del lavoro.
Anche in questo specifico ambito infatti, viene in rilievo non tanto il principio formale di uguaglianza, ma anche il generale principio di “ragionevolezza”.
Alla luce di questo, la legge deve regolare in maniera uguale situazioni uguali e in maniera razionalmente diversa situazioni diverse, con la conseguenza che la disparità di trattamento trova giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate.
Secondo il Principio di cui all’art. 3 della Costituzione, deve essere assicurata dalle norme giuridiche ad ognuno, eguaglianza di trattamento, quando eguali siano le condizioni soggettive ed oggettive alle quali le stesse disposizioni si riferiscono per la loro applicazione, con la conseguenza che il principio risulta violato quando di fronte a situazioni obbiettivamente omogenee, si ha una disciplina giuridica differenziata, determinando discriminazioni arbitrarie ed ingiustificate.
Il giudizio di uguaglianza dunque, postulando l’omogeneità delle situazioni messe a confronto, parrebbe non potersi invocare quando trattasi di situazioni intrinsecamente eterogenee e che differiscono tra loro per aspetti distintivi particolari.
Tuttavia, è proprio in tali circostanze che sorge la necessità di pretendere dal legislatore,una normativa che - presa consapevolezza delle differenze di genere tra lavoratore e lavoratrice - predisponga norme tali da garantire sia all’uomo che alla donna, pari sicurezza nei luoghi di lavoro.
D’altro canto la tutela della salute è un diritto fondamentale dell’individuo (art. 32 Cost.), e in quanto tale deve riconoscersi a tutti allo stesso modo (art. 3 Cost).
In maniera più che semplicistica, ma non per questo banale, possiamo dire che uomo e donna sono diversi. Tuttavia il diritto alla salute sancito dalla Costituzione,deve essere garantito ugualmente a ciascun individuo, ma affinchè questo sia reso effettivo non si potrà prescindere dal considerare la diversità tra uomo e donna, lavoratore e lavoratrice.
Non è possibile garantire alle donne la precedenza assoluta ed incondizionata senza rischiare di creare discriminazioni. Per questo i criteri non dovranno essere discriminanti né per l’una né per l’altro genere e sono pertanto illegittimi i sistemi che accordano una preferenza automatica alle donne rispetto agli uomini.
Occorrerà invece ammettere la possibilità di dare spazio a valutazioni del caso concreto, in nome dell’equità, ed in conformità ai principi di uguaglianza di genere.
Lo strumento adatto al raggiungimento di tale obiettivo, nonché paradigma di questa nuova politica di azione, sono le affermative actions (azioni positive), concetto formulato per la prima volta negli Stati Uniti, durante la seconda metà del XX secolo all’interno della lotta dei movimenti per i diritti civili.
Negli anni ’50 nascono negli Stati Uniti le “azioni positive”, quali strumenti della politica governativa per garantire parità di diritti alle minoranze etniche ed alle donne.
L’Unione Europea con la Raccomandazione n. 635/1984, chiede agli Stati membri di adottare una politica di “azioni positive” in favore delle donne, contro le disparità che di fatto le colpivano, specie sul lavoro.
Nel 1991 il Parlamento italiano approva la Legge n. 125 le cui disposizioni (art. 1 comma 1) hanno lo scopo di “favorire l’occupazione femminile e di realizzare l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro”, mediante l’adozione di misure,denominate “azioni positive”, al fine di rimuovere gli ostacoli che di fatto impedivano la realizzazione di pari opportunità.
La parità formale perciò della L. 903 del 1977 diventa parità sostanziale con la L. 125 del 1991, segnando l’inizio di una nuova epoca di politiche sulla non discriminazione.
Da questo momento, promuovere la cultura delle pari opportunità e contribuire all’effettiva attuazione dei principi di parità anche mediante l’adozione di “azioni positive”è, e dovrebbe costituire prerogativa di tutti gli Enti.
Le azioni positive possono configurarsi come “discriminazioni positive” che, attraverso il rafforzamento della presenza delle donne, accelerano il processo di riequilibrio di fatto e combattono le forme di discriminazione nei confronti delle lavoratrici.
Si tratta anche di programmi rivolti ad un facere consistente nella rimozione di quegli ostacoli di fatto esistenti nella realtà sociale ed economica che, impedendo alle donne di avere pari possibilità nel mercato del lavoro, le pongono in una condizione di svantaggio e disparità.
Le azioni positive per le donne, insieme alle disposizioni normative che da queste traggono origine, sono lo strumento coercitivo principale utilizzato per promuovere l’uguaglianza in riferimento al genere ed altre forme di discriminazione.
Nell’ambito del lavoro, favorire la parità uomo-donna e quindi una maggiore consapevolezza dell’uguaglianza, unitamente alla valorizzazione della differenza di genere,significa garantire alla donna un ugual diritto alla salute rispetto all’uomo.
Questo a fronte di una normativa sulla sicurezza e salute sul lavoro neutrale, ovvero per troppo tempo rivolta unicamente a soggetti considerato come “cloni del dipendente tipizzato che è uomo, normodotato, autoctono, adulto di età di mezzo, senza segni o caratteristiche peculiari se non mediane”.

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