LE PRINCIPALI DINAMICHE DEL MERCATO DEL LAVORO: UNA LETTURA DI GENERE


L’accresciuta partecipazione femminile rappresenta il più significativo fattore di trasformazione dei mercati del lavoro contemporanei, rispecchiando un trend comune in tutti i paesi avanzati. Si nota, infatti, per quanto concerne l’Europa, un processo di convergenza dei Paesi membri verso gli obiettivi posti dalla Strategia europea per l’occupazione32, avviata nel 1997 con il vertice di Lussemburgo e proseguita anche nei successivi consigli europei, con una particolare attenzione dedicata al tema delle pari opportunità.
Tali trasformazioni rendono evidentemente ineludibile l’adozione del genere come una delle variabili fondamentali nell’osservazione delle dinamiche dei mercati del lavoro contemporanei.
Ed è con tale approccio analitico e interpretativo che abbiamo cercato in questo contributo di evidenziare le principali trasformazioni che hanno caratterizzato il mercato del lavoro toscano, soffermandosi su alcune delle dimensioni più significative in relazione al tema della qualità del lavoro e in particolare alle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il processo di allineamento agli standard europei è un tratto qualificante dell’evoluzione del mercato del lavoro anche in Toscana, soprattutto per quanto concerne la componente femminile delle forze di lavoro.
A partire dallo scorso decennio, la dinamica occupazionale regionale è stata contrassegnata da una progressiva crescita della partecipazione femminile a fronte di una sostanziale staticità della componente maschile.

Fra il 1993 e il 2008 si contano oltre 200 mila occupati in più: di questi poco più del 17% sono uomini; il resto è rappresentato da donne, quasi 170 mila occupate in più rispetto all’inizio del periodo.
Molti e diversi sono i fattori che, spesso combinandosi fra loro, hanno alimentato la crescita dell’occupazione femminile.
Sul versante della domanda di lavoro, l’accresciuta partecipazione femminile si accompagna ed è strettamente legata agli intensi processi di terziarizzazione delle economie avanzate.
Il settore dei servizi in genere rappresenta quasi ovunque il principale serbatoio di assorbimento della forza lavoro femminile, per ragioni che hanno a che fare con i profili professionali ritenuti particolarmente adatti alle donne e che spesso altro non sono che la professionalizzazione di attività in passato svolte in famiglia (ad esempio le professioni nell’ambito dei servizi di cura), ma ancor più con la compatibilità che rende questi posti di lavoro
particolarmente attraenti per le donne, con forme organizzative e modalità orarie,che meglio si adattano alle problematiche ancora prevalentemente “femminili” di conciliazione tra lavoro e famiglia.
Altri fattori di natura socioculturale hanno inciso sui comportamenti e sulle scelte delle donne, modificandone l’allocazione del tempo e delle risorse tra lavoro per il mercato e lavoro familiare.
Tra le molte determinanti in gioco l’istruzione è la variabile che sembra avere la maggiore capacità predittiva dei comportamenti dell’offerta di lavoro femminile.
Come ben noto in letteratura, esiste una relazione diretta tra investimento in capitale umano e livelli di occupazione femminile, per cui al crescere dell’istruzione aumenta anche l’occupazione delle donne e il possesso di un titolo di studio elevato contribuisce a ridurre il gap tra donne e uomini.
Mentre l’offerta maschile risulta essere relativamente rigida rispetto al livello di istruzione, che incide solo sui tempi di ingresso e di uscita dal mercato del lavoro, ma non sulle probabilità di partecipazione, nel caso delle donne rappresenta una risorsa cruciale per accrescerne l’occupabilità, oltre che la durata e la continuità dei percorsi professionali. Le donne meno scolarizzate,infatti, mostrano tassi di occupazione più bassi in tutte le fasce di età e tendono ad uscire precocemente dal mercato del lavoro.
Al contrario le donne laureate, oltre ad avere tassi di occupazione molto elevati, non troppo lontani da quelli maschili, mostrano una propensione a rimanere nel mercato del lavoro più a lungo, con una presenza che rimane elevata fino all’età di pensionamento, senza interruzioni neppure nelle fasi più impegnative del ciclo di vita familiare.
Nonostante i cambiamenti in atto rilevabili in tutti i paesi europei, permangono specificità strutturali che diversificano profondamente i modelli europei di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Da un lato si collocano i paesi nordici, dove la partecipazione femminile al mercato del lavoro ha assunto ormai da qualche decennio livelli e modelli simili a quelli maschili, all’insegna di una progressiva scomparsa dello stereotipo della temporaneità del lavoro femminile, perché le donne restano più a lungo occupate e/o alla ricerca di un impiego, anche dopo la fase del ciclo di vita legata ai maggiori impegni familiari, e escono dal mercato del lavoro per ritirarsi in pensione solo poco prima dei maschi. Dall’altro lato troviamo i paesi dell’Europa meridionale e nello specifico l’Italia, dove, nonostante i notevoli progressi degli ultimi anni, la partecipazione femminile si attesta su livelli decisamente più contenuti imputabili sia alla quota significativa di donne inattive (soprattutto tra le ultra55enni),sia ad uscite precoci dal mercato del lavoro ancora in concomitanza con la maternità,oltre ad una minore diffusione del part-time.
Rispetto a questo quadro la Toscana si colloca in una posizione intermedia rispetto alle performance migliori dei paesi nordici e anche delle regioni benchmark dell’Italia settentrionale, ma al contempo sembra conservare molti dei tratti propri del modello mediterraneo.
Permane infatti un problema di razionamento di un bene scarso come quello del lavoro, per cui prevale un modello culturale discriminatorio nei confronti delle donne, secondo il quale non viene messa mai in discussione la permanenza dell’uomo (in particolare se capofamiglia) nel mercato del lavoro a scapito delle donne, che rimangono più a lungo in attesa di un impiego oppure, per le componenti più deboli in termini di titoli di studio e di età, sono soggette ad effetti di scoraggiamento,e quindi ad uscite verso la condizione di inattività (IRPET, 2007).
Nonostante i notevoli progressi compiuti in termini di presenza quantitativa sul mercato del lavoro, i fenomeni di segregazione ancora accompagnano il percorso lavorativo delle donne e rappresentano una delle questioni irrisolte del processo di femminilizzazione del lavoro. Infatti, il pur massiccio ingresso delle donne nelle occupazioni ha solo parzialmente ridotto le gerarchie di genere e in particolare non ha scalfito il cosiddetto “tetto di cristallo” delle posizioni di più elevato prestigio e potere.
Per quanto concerne la Toscana, i meccanismi di segregazione, orizzontale e verticale,continuano ad agire, con tendenze di segno ambivalente: da un lato si è assistito ad un’ulteriore femminilizzazione dei settori tradizionalmente femminili, dall’altro all’ingresso delle donne in settori e professioni tradizionalmente maschili.
Nel quindicennio 1993-2008 l’occupazione femminile è diminuita sensibilmente nelle attività manifatturiere, mentre è aumentata nel commercio e nell’ambito dei servizi sociali,ma anche in settori tradizionalmente maschili, come l’intermediazione monetaria, i servizi alle imprese e le attività professionali e imprenditoriali, i trasporti e comunicazioni.
Allo stesso modo la distribuzione degli occupati in base alla professione svolta evidenzia una sovrarappresentazione delle donne nelle professioni intermedie,nelle professioni relative alle vendite, nei profili impiegatizi esecutivi, ma anche ai livelli più bassi della gerarchia professionale in corrispondenza di lavori non qualificati.
Tuttavia, sulla scia dei forti investimenti in istruzione e formazione da parte delle più giovani generazioni di donne, si intravedono segnali positivi anche in relazione ad un aumentato accesso delle donne all’interno delle professioni apicali della gerarchia occupazionale.
La questione al femminile della sicurezza sul lavoro si coniuga anche al tema dei cambiamenti del mondo del lavoro legati alla diffusione delle forme di lavoro flessibili.
È noto, infatti, come la minor durata dei rapporti di lavoro atipici e, conseguentemente,la minore esperienza dei lavoratori sul posto di lavoro, possano determinare un calo complessivo delle condizioni di sicurezza, a causa della minore conoscenza degli ambienti di lavoro e dei potenziali fattori di rischio in esso presenti e della mancanza di un’adeguata preparazione in materia.
L’esperienza della flessibilità del lavoro non si distribuisce in maniera omogenea all’interno della popolazione, ma si concentra su alcuni gruppi sociali in particolare i giovani e le donne che, oltre a costituire la componente maggioritaria dell’occupazione temporanea, mostrano livelli di presenza nei lavori a termine superiore a quella degli uomini in tutte le fasce di età.
Oltre ad avere maggiori probabilità di accesso al lavoro flessibile, le donne mostrano anche maggiori probabilità di intrappolamento in tale condizione, dalla quale escono non tanto per sperimentare un nuovo lavoro, ma piuttosto per iniziare una fase di disoccupazione o inattività, anche di lunga durata.
Altro fenomeno rilevante che ha caratterizzato i mercati del lavoro contemporanei, e anche quello toscano, è la presenza sempre più consistente di lavoratori stranieri.
Il quadro descrive una diffusa partecipazione al lavoro degli immigrati, superiore anche a quella degli italiani, per una serie di ragioni che attengono sia alla diversa distribuzione per età della popolazione italiana e di quella straniera, caratterizzata quest’ultima da una minore incidenza delle classi di età avanzate e da un’elevata concentrazione in quelle giovanili e in quelle propriamente lavorative, sia alla natura dell’esperienza migratoria, fortemente centrata sull’opportunità di un lavoro, tanto più vero in un contesto giuridico come quello italiano, in cui la perdita del lavoro può comportare nel giro di sei mesi la perdita del permesso di soggiorno e quindi la possibilità di permanenza in Italia.
Il positivo profilo dell’inserimento occupazionale si accompagna, tuttavia, a marcati processi di segregazione occupazionale dei lavoratori, e ancor più delle lavoratrici immigrate.
I lavoratori stranieri sono prevalentemente giovani, in non pochi casi con livelli di scolarizzazione medio-alti, svolgono mansioni in genere non qualificate nelle costruzioni, nei servizi domestici, come anche in quelli turistici (alberghi e ristoranti) e in agricoltura, andando a colmare i vuoti occupazionali, imputabili sia a motivi demografici,sia alle aumentate aspirazioni professionali delle nuove e più istruite generazioni autoctone.
Si tratta, quindi, prevalentemente di posizioni professionali più rischiose anche dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, che spiega in parte la maggiore esposizione di questi lavoratori ai rischi infortunistici.
Nel caso specifico delle donne straniere si profila una situazione di particolare criticità, a conferma di un fenomeno ben noto a livello internazionale, ossia la persistenza di forti asimmetrie di genere, sia in termini di minori livelli di partecipazione al mercato del lavoro che di una più marcata concentrazione settoriale (i servizi domestici e assistenziali in maniera quasi esclusiva), anche a fronte di una progressiva femminilizzazione dei flussi migratori, in cui cresce la quota di donne che emigrano da sole, di propria iniziativa e non solo al seguito del coniuge.

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